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martedì 7 febbraio 2012

CASO CONTADOR: L’ ENNESIMA CADUTA DEL CICLISMO


Coppi e Bartali si passano la borraccia
C’era una volta, e ormai parliamo di tanto tempo fa, dove il ciclismo era uno sport pulito, una sana e massacrante corsa contro se stessi in cui bisognava superare costantemente i propri limiti per riuscire a completare una corsa, ore e ore su biciclette obsolete (rispetto a quelle moderne uscite dalle gallerie del vento) su strade nella maggior parte dei casi sterrate in cui le forature la facevano da padrone (in quel caso erano gli stessi ciclisti a dover cambiare la ruota visto che le camere d’ aria le portavano in spalla a mo’ di cinturone). Erano i tempi di Learco Guerra, detto la “Locomotiva Umana”, di Alfredo Binda (per ben 5 volte vincitore del Giro), di Ottavio Bottecchia (due tour vinti per il friulano) e di Eberado Pavesi, diventato famoso per un libro di Gianni Brera a lui ispirato. C’ erano stati anche all’ epoca casi sporadici di doping e di morte legata all’ assunzione di farmaci (il primo decesso di un ciclista per abuso di sostante illecite è datato 1886 con il gallese Arthur Linton) ma fino al 1967, l’ anno della morte in diretta al Tour de France dell’ inglese Simpson sul Mont Ventoux, questo fenomeno non era ancora associato in pianta stabile al fenomeno due ruote.
Pensare che due campioni come Fausto Coppi e Gino Bartali che portarono, con il loro splendido dualismo, il ciclismo a livelli forse mai raggiunti potessero essere dopati è come sputare su due icone, due figure che risplendono ancora oggi nel firmamento del ciclismo. Purtroppo invece oggi le vittorie di questo o di quell’ atleta sono sempre viste sotto un'altra luce: ma avrà vinto perché è veramente il più forte oppure è dopato? Dal 1998 in poi, anno del grande scandalo Festina, è emerso che il doping nel ciclismo non era un episodio singolo ma una regola dell’ intero carrozzone. Il primo ad esserne colpito è stato il Tour mentre anche l’ anno successivo, con l’ intervento dei Nas a Madonna di Campiglio e l’ esclusione dalla corsa del leader maximo Marco Pantani (che non si è mai ripreso da questa onta fino a morire in una squallida camera d’ albergo per un overdose di cocaina), il Giro è stato scosso da questo bieco fenomeno.
Da li in poi i controlli sono diventati sempre più frequenti e quasi l’ intera carovana prima o poi ci è cascata. Non solamente gregari che magari si dopavano per cercare, almeno una volta, di arrivare ad una tanto agognata vittoria di tappa ma tutti i più grandi campioni del XXI secolo sono stati coinvolti più o meno direttamente. Lance Armstrong, che verrà ricordato ai posteri come uno dei più vincenti ciclisti di tutti i tempi, sette volte vincitore della Grande Boucle è stato più volte accusato, apertamente e non, di aver assunto Epo per alterare le sue prestazioni. Il 2006 è invece l’ anno della famigerata Operacion Puerto, nella quale vennero arrestati il dottor Eufemiano Fuentes e il direttore della Liberty-Seguros Manolo Saiz, i due ideatori di questa organizzazione illecita che si dedicava alla gestione delle emotrasfusioni e alla vendita di altre sostanze dopanti. In questa scandalo vennero coinvolti, oltre a numerose squadre, anche atleti di primo piano come l’ italiano Ivan Basso (poi squalificato per due anni dopo aver ammesso di ricorrere a queste pratiche), il connazionale Michele Scarponi (esautorato dalle corse per 18 mesi), il kaiser Jan Ullrich (già trovato positivo una prima volta nel 2002), lo scalatore colombiano Santiago Botero e tanti altri professionisti. Tra gli altri big finiti nelle morse dell’ antidoping troviamo i maggiori protagonisti delle corse a tappe degli ultimi anni: Danilo Di Luca, il “killer di Spoltore”, vincitore del Giro 2007 è stato pizzicato per ben tre volte (una nel 2007, una nel 2008 e l’ ultima nel 2010); Alejandro Valverde, corridore spagnolo vincitore di una Vuelta e di due argenti mondiali, è stato sospeso dal Tas per due anni; Emanuele Sella, minuto scalatore diventato famoso con le sue vittorie al Giro del 2008, è stato fermato per lo stesso periodo di tempo dopo essere risultato positivo alla CERA (l’ Epo di nuova generazione) ma il caso più emblematico è quello dell’ ex enfant prodige del ciclismo italiano: Riccardo Riccò.
Riccaro Riccò esulta dopo una vittoria
Il ciclista emiliano, e anche la sua compagna, è un abituè delle pratiche illecite. Già nel 2001 fu escluso dalla nazionale italiana di ciclocross per ematocrito alto ma è dal 2008 in avanti che i suoi tentativi per migliorare le prestazioni lo hanno reso tristemente famoso. Dopo un Giro d’ Italia da protagonista (secondo alle spalle di Contador) e un inizio di Tour de France da sogno viene arrestato dalla gendarmeria transalpina dopo la dodicesima tappa per essere risultato positivo al CERA.  Alcuni giorni di carcere (poi verrà successivamente condannato a due mesi di custodia ed al pagamento di un ammenda dal tribunale francese) e il licenziamento da parte della sua squadra sono le immediate conseguenze del blitz nella sua camera d’ albergo. Successivamente viene squalificato per ventiquattro mesi (diciotto per il caso di doping e altri sei per i legami con il medico Santuccione) poi ridotti a venti per la collaborazione spontanea fornita dallo stesso atleta. Tornato alle corse nel marzo 2010 dopo pochi mesi riprende il suo viaggio verso l’ abisso, nel febbraio 2011 viene infatti ricoverato d’ urgenza in ospedale per un blocco renale dovuto ad un emotrasfusione casalinga. Dopo l’ ennesima “caduta” il tribunale nazionale antidoping ha chiesto per l’ atleta di Sassuolo la squalifica record di 12 anni, un metodo per allontanarlo dal mondo delle corse e aiutarlo ad uscire dal tunnel dell’ autodistruzione in cui era entrato.
Purtroppo, era da un po’ che il fenomeno doping-ciclismo non aveva così grande risonanza mediatica, il caso della squalifica retroattiva del grande campione spagnolo Alberto Contador (a cui sono stati tolti un Giro d’ Italia e un Tour de France) riapre una ferita aperta e che probabilmente non si rimarginerà mai.
A mio avviso le soluzioni possibili per tentare di fermare questa piaga che da troppo tempo sta rovinando uno sport seguito da milioni e milioni di appassionati sono due: la prima, e secondo me la meno corretta eticamente, è quella di legalizzare il doping cioè di rendere meno restrittive le norme che regolano la possibilità di assumere farmaci da parte degli atleti. Così facendo si correrebbe, più o meno, tutti allo stesso livello e riemergerebbero quelli che sono i reali valori in campo. La seconda è quella di dimezzare letteralmente le grandi corse a tappe. Gli organizzatori infatti tendono a estremizzare sempre di più i percorsi con tappe durissime e pochissimo riposo per i corridori ma il fisico umano non è in grado di reggere degli sforzi cosi abnormi (5 ore in bicicletta e pendenze al limite dell’ impossibile) in così poco tempo ed è per quello che la maggior parte degli atleti (se non addirittura la totalità) ricorre all’ imbroglio. Studi medici dicono che un calciatore per recuperare la piena efficienza fisica dopo una gara di 90 minuti dovrebbe stare a riposo assoluto per almeno 5 giorni figuriamo quindi un ciclista!!! In questo caso però gli interessi di un Angelo Zomegnan o di un Christian Prudhomme (i direttori di Giro e Tour) sono troppo elevati, parliamo di introiti derivanti da sponsor e diritti televisivi, per ridurre drasticamente le dimensioni di eventi seguiti in tutto il mondo. Ogni anno, nonostante tutto, migliaia e migliaia di persone si assiepano sui tornanti dello Zoncolan o del Tourmalet e fino a quando la passione di questi spettatori non si affievolirà il ciclismo avrà ancora una ragione per esistere…. 

il pubblico assiepato sui tornanti del Tourmalet

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