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mercoledì 18 aprile 2012

L' INCHIESTA: MORIRE IN CAMPO: FATALITA’, NEGLIGENZA O….


Renato Curi
Mario Seghesio, portiere dell’ Andrea Doria, l’ attaccante della Roma Giuliano Taccola, il centrocampista Renato Curi e adesso il mediano del Livorno Piermario Morosini sono tutti accomunati da una tragica e terribile fine: morti su un campo da calcio (Taccola in verità perì negli spogliatoi del Sant’Elia).
Purtroppo l’ Italia non è stato l’ unico paese colpito da questi “scherzi” del destino, anzi moltissime nazioni hanno dovuto piangere vittime del rettangolo verde.  I primi casi, ad avere un certo risalto internazionale, sono stati quelli del camerunense Marc Vivian Foé, del magiaro Miklos Feher e di Antonio Puerta.
Foé, centrocampista del Manchester City e due Ligue One vinte in precedenza con le maglie di Lens e Lione, perse la vita il 26 giugno 2003 nel corso della semifinale di Confederation Cup tra i “suoi” Leoni Indomabili e la Colombia.
Foé accasciato a terra nel 2003
Feher, ventiquattrenne attaccante ungherese del Benfica, si accasciò nei minuti di recupero dell’ incontro di Superliga tra le Aquile e il Vitoria Guimaraes del 25 gennaio 2004 e, nonostante i ripetuti tentativi di soccorso da parte dello staff medico, non si rialzò mai più terminando la sua breve esistenza allo stadio Alfonso Henriques. Antonio Puerta, una vita intera con i colori biancorossi del Siviglia addosso, invece si spense il 28 agosto del 2007 dopo tre giorni di lenta agonia. Collassato durante la prima giornata di Liga contro il Getafe ebbe la forza di rialzarsi e riuscire ad andare negli spogliatoi dove però altri arresti cardiaci (dovuti ad una malformazione mai riscontrata) ne decretarono la tragica fine. 
Puerta, capitano del Sevilla
Il calcio però non ha pianto solo campioni affermati come Dani Jarque, capitano dell’ Espanyol deceduto nell’ agosto 2009 durante uno stage della sua squadra a Coverciano o come il nazionale giapponese Naoki Matsuda scomparso l’ estate scorsa durante una sessione di allenamento. Nel campionato brasiliano sono morti ben tre giocatori: Paulo Sergio Oliveira detto Serginho durante un Sao Caetano-San Paolo del 2004, Joao Pedro, laterale del Recife nel lontano 1990 e Frederico Da Costa del Mesquita (squadra di seconda divisione dello stato di Rio) nel 2010. La patria del samba però ha avuto anche altri due connazionali morti in terra straniera: Calmito Augusto perì nel 1995 in Belgio, Cristiano Junior invece mori’ nel 2002 dopo un terribile scontro con il portiere nella finale del campionato indiano.
Anche la “grande Africa” ha avuto le sue disgrazie. Chaske Nsofwa, nazionale dello Zambia, è deceduto nel 2007 con indosso la maglia della sua squadra, l’ Hapoel Be’er Sheva formazione israeliana. Lokissimbaye Loko, centrocampista del Ciad e dei francesi dell’ FC Beaumontois è stato stroncato da un infarto nell’ aprile dello scorso anno mentre del novembre successivo è la notizia della tragica scomparsa del nigeriano Bobsam Elejiko che militava nella seconda divisione belga nel K. Merkesem.
Paradossale invece la storia del semidilettante croato Goran Tunij. Dopo essere collassato in campo è stato ammonito dall’ arbitro per simulazione e prima che il direttore di gara si rendesse veramente conto della situazione, per il “Pippo Inzaghi” di Mladost era ormai troppo tardi.  
giocatori di Tottenham e Bolton attorno a Muamba
Lionello Manfredonia e Fabrice Muamba invece possono ritenersi fortunati. Colpiti entrambi da attacco di cuore, il primo in un Bologna- Roma del 1989 e il secondo in un Tottenham-Bolton di qualche settimana fa, sono stati salvati dalla tempestività dei soccorsi e dall’ uso del defibrillatore cosa che non possono dire il francese Clement Pinault (morto nel 2009 a Clermont) e il connazionale David Di Tommaso (deceduto nel 2004 in un incontro tra il suo Utrecht e l’ Ajax) che sono gli ultimi due che si aggiungono ad una lista nera che sembra non avere mai fine.
La tragica fine del bergamasco Piermario Morosini, sfortunato sino all’ ultimo istante di vita (orfano, un fratello morto suicida ed una sorella handicappata), ha riaperto una serie di interrogativi che da troppo tempo giacevano nel dimenticatoio. Come può un atleta professionista morire in una maniera cosi assurda? Le ipotesi possono essere svariate: un calciatore viene riempito di farmaci per non sentire la fatica e il dolore e quindi non riesce a rendersi conto in tempo del problema (ipotesi A), gli esami per l’ idoneità sportiva non sono così accurati da cogliere eventuali anomalie genetiche all’ interno dei singoli casi (ipotesi B), il ritardo nel prestare i soccorsi e la mancanza di defibrillatori sui campi da gioco influisce negativamente sulla possibile salvezza di un atleta (ipotesi C) oppure, come dice il presidente del Livorno Aldo Spinelli, è tutta colpa del destino funesto (Hernan Gaviria, morto durante un allenamento colpito da un fulmine ne sa qualcosa). Ai posteri l’ ardua sentenza…