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martedì 30 agosto 2011

FREDDY ADU: IL DECLINO DI UNA GRANDE PROMESSA



Fredua Koranteng Adu conosciuto ai più come Freddy Adu è probabilmente il giocatore di calcio americano più conosciuto e sul quale, fin dall’ età di quattordici anni, i media a stelle e strisce e sponsor internazionali avevano scommesso come strumento globale per accrescere l’ appeal del soccer anche nella grande America.
Le sue gesta sul rettangolo verde lo hanno mostrato come un centrocampista offensivo poco più che discreto quando,  le aspettative degli addetti ai lavori, dei tifosi e dei semplici appassionati erano talmente elevate che in molti ne vedevano già l’ erede designato di Edson Arantes Do Nascimiento (in arte Pelè). Probabilmente la sua eccessiva fama è dovuta anche ad un abile e complessa strategia di marketing architettata da sponsor come Nike e Pepsi che vedevano nell’ atleta di colore, nato in Ghana, emigrato in Usa quasi per caso ed esploso in Florida, una “gallina dalle uovo d’oro”, quel mezzo tramite il quale espandere in maniera capillare, anche in una nazione avvezza al calcio, lo sport più famoso e amato del mondo.
Cresciuto nella IMG Soccer Accademy, a Bradenton in Florida, l’ Accademia organizzata dalla Federazione Americana in cui sono esplosi i più importanti calciatori statunitensi (Beasley, Donovan, Onyewu per citarne alcuni), a soli quattordici anni firma, il più giovane della storia, il suo primo contratto da professionista con la formazione della MLS (major league soccer) dei D.C. United la squadra della capitale statunitense. Le sponsorizzazioni stipulate con le due multinazionali gli portano circa 3 milioni di dollari in tasca (secondo una ricerca dell’ illustre rivista Sport Illustrated) e le numerose apparizioni televisive (leggendaria quella al David Letterman Show, uno dei programmi più seguiti in Usa) lo rendono in brevissimo tempo uno dei volti più popolari del continente.
Al suo primo anno tra i pro vince subito il titolo contribuendo (30 presenze e 5 reti), dopo un quinquennio di delusioni, a rendere la squadra di Washington la più titolata nella storia della Major League (4 titoli conquistati). Dopo un triennio nel District of Columbia terminato con 92 presenze e condito da 12 reti si trasferisce nel freddo Utah dove viene ingaggiato dai Real Salt Lake. Nella sua unica stagione nella patria dei mormoni scende in campo 11 volte realizzando solamente 2 reti, un magro bottino che non permette alla squadra di qualificarsi per i play-off. Dopo un ottimo mondiale Under 20 (sconfitta nei quarti di finale contro l’ Austria con gol decisivo dell’ ex meteora napoletana Hoffer), quello disputato in Canada nel 2007, nel quale formava il tridente delle meraviglie insieme all’ ex Brescia Danny Szetela e all’ attaccante dell’ Az Alkmaar Jozy Altidore (10 gol in tre) sembra finalmente essere giunta l’ ora giusta per l’ approdo nel calcio europeo.
Viene infatti acquistato da uno dei club più prestigiosi della Penisola Iberica il Benfica di Lisbona. I lusitani infatti possono fregiarsi di 32 titoli portoghesi, 27 coppe nazionali, ben 2 Coppe dei Campioni (conquistate nel ‘60-‘61 e nel ‘61-‘62) e hanno annoverato nelle proprie fila campioni indiscussi come il portiere belga Michel Preud’homme, il centrocampista mozambicano Mario Coluna e la pantera nera Eusebio.  
Le premesse per far bene c’erano tutte, le prime stagioni da professionista non erano state molto esaltanti, ma la rassegna iridata giovanile aveva mostrato un giocatore rinato. Il ct americano Rongen aveva creduto in lui affidandogli la fascia di capitano e questo attestato di stima era stato ripagato con giocate di ottima fattura, gol (3 alla fine) assist e la consapevolezza che in una squadra dove si sentiva leader poteva veramente fare la differenza.
L’ avventura con le “Aquile” però non si è rivelata tutta rose e fiori anzi le difficoltà risultano subito evidenti. La scommessa della squadra preseduta da Luis Felipe Viera viene ritenuta persa dopo una sola stagione fatta di 11 presenze e 2 reti in campionato e di altre 9 con 4 reti tra coppa nazionale e supercoppa di lega per un totale di 20 partite giocate con un magro bottino di 6 reti. La squadra, tra i suoi compagni il vecchio Rui Costa, Nuno Gomes e Angel Di Maria, termina al quarto posto il campionato dietro anche al non irresistibile Vitoria Guimaraes, viene eliminata al primo girone eliminatorio della Champions e non arriva neppure in finale della coppa portoghese. Oltre all’ allenatore José Antonio Camacho a pagare una stagione fallimentare anche il giovane Freddy che viene spedito in prestito per farsi le ossa, vista ancora la giovane età, e per migliorare il suo impatto con il calcio del Vecchio Continente. Da qui in avanti però ha iniziato una parabola discendente che sembra non avere più fine. Il primo club ad accogliere il giocatore di origini africane è il Monaco ma anche li la fortuna sembra voltare le spalle alla star americana: dieci presenze totali e un mesto ritorno al mittente. Terminata la breve e deludente parentesi nel Principato, nel 2009-10, cambia nuovamente maglia e torna nella Primeira Liga portoghese  questa volta con la casacca bianco-blu della terza squadra di Lisbona, il Belenenses. Anche qui il risultato non cambia e il pubblico dell’ “Estadio do Restelo” lo vede scendere in campo solamente per quattro volte prima di essere rispedito in fretta e furia ai cugini del Benfica. Al “Da Luz”, il campo da gioco dei biancorossi, però non metterà più piede visto che viene nuovamente dirottato in prestito e questa volta per ben 18 mesi. A tentare il rilancio del giovane colored è questa volta l’ Aris Salonicco ma anche con il club ellenico la sorte sarà praticamente la stessa: un flop. Nella Super League Greca scende in campo 11 volte con 2 reti all’ attivo tra gennaio e giugno del 2010 aiutando comunque la squadra a conquistare un posto per l’ Europa League della stagione successiva. In estate il club giallo nero della Tessalonica decide di metterlo fuori rosa per scarso rendimento in modo da aspettare la naturale scadenza del prestito per rispedirlo poi in Portogallo. In questo periodo gira in lungo e in largo l’ Europa allenandosi prima con un club della Zweite Liga tedesca (la serie b), l’ Ingolstadt ’04, poi in Svizzera con il Sion ed infine con il Randers sconosciuta squadra danese allenata dall’ ex gunners John Jensen. Dopo sei mesi di girovagare nel gennaio 2011 trova finalmente squadra, l’ ultima della sua non entusiasmante esperienza oltre oceano.
Termina infatti la stagione nella Bank Asia 1.League, la seconda divisione turca, con la maglia del Caykur Rizespor Kulϋbϋ. La partenza è esaltante e alla terza apparizione col team della città sul Mar Nero sigla subito il gol vittoria contro il Gaziantep. Nonostante un finale in crescendo, 4 reti nelle 11 presenze complessive, la formazione di Rize non riesce a centrare una storica promozione e per Freddy le occasioni di riscatto terminano, per ora, con il mesto ritorno in MLS.
Piuttosto di un continuo girovagare in cerca di scampoli di gloria nei campionati minori europei meglio una nuova vita calcistica nella cara e vecchia America avrà pensato la giovane star del soccer a stelle e strisce e cosi da poche settimane indossa la divisa dei Philadelphia Union allenati in panchina dal suo primo mentore, quel Piotr Nowak che a soli 14 anni lo aveva lanciato tra i professionisti. L’ età è ancora dalla sua, avendo solamente 22 anni, chissà se fra qualche anno, con una nuova maturità e una maggior consapevolezza, potrà ritornare da protagonista in Europa e finalmente dimostrare che non era solo un campione mediatico ma anche un fenomeno sul rettangolo di gioco…

martedì 22 febbraio 2011

L' inchiesta: La Cba cinese come l' Nba...

Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando la Cba (Chinese Basketball Association) è stata fondata nel 1995 (la nascita vera e propria della Lega è datata 1956 ma fu quasi immediatamente abolita) ad oggi. Dalla stagione di apertura innanzi tutto sono aumentate le squadre (da dodici alle sedici attuali) ed in più, da qualche anno a questa parte, il campionato si è arricchito di giocatori americani dal passato glorioso e, cosa non da meno, di sponsor munifici e conosciuti a livello globale. La prima azienda a credere nelle potenzialità in termini di visibilità e passaggi televisivi è stata l’ elvetica Infront Sport and Media che ormai da sei lunghe stagioni si è legata alla Lega cinese, mentre dalla stagione 2010/11 il main sponsor del campionato è diventato l’ azienda nipponica Konica. Nonostante l’ effetto legato al basket planetario, dopo le deludenti (per la Nazionale rossa) Olimpiadi casalinghe, e dopo il lungo infortunio della stella dello sport cinese Yao Ming (probabilmente carriera finita per lui) si sia un pochino affievolito, la Cba ha sempre un grande seguito in patria e per un azienda come la Konica, che punta sull’ elettronica, la possibilità di entrare in un mercato immenso in termini di numeri e molto appetibile dal punto di vista del target, dal momento che nella Cina modernizzata il nuovo ceto medio è sempre alla ricerca di nuovi gadget tecnologici, è un’ occasione troppo importante da lasciarsi scappare.

Anche l’ Nba e il suo commissioner David Stern hanno intuito le potenzialità che una nazione abitata dal 19.5 % della popolazione mondiale può avere. Dal 2004 infatti si svolge l’ Nba China Games, una serie di gare estive di esibizione tra le diverse franchigie della Lega americana. Nella prima edizione si affrontarono naturalmente gli Houston Rockets di Yao e i Sacramento Kings. Negli anni successivi sbarcarono in Cina campioni come Lebron James, Dwight Howard e Carmelo Antony. Nell’ ultima edizione, come per chiudere un cerchio iniziato sei anni prima, si sono affrontati in due sfide giocate a Pechino e a Canton, i soliti Rockets e i New Jersey Nets. Negli anni a venire l’ idea del padre padrone della National Basketball Association è quella di far disputare anche veri incontri di campionato in una terra fertile come quella cinese per aumentare ancora gli introiti sia a livello di sponsorizzazioni che di diritti televisivi, se gli incontri tra i giocatori e i proprietari risolveranno la delicata situazione legata ai contratti delle stelle del campionato già dall’ anno prossimo potremo vedere un Nba sempre più globalizzata.
Andersen con la maglia dei Denver Nuggets
La Cba, dal 1995 al 2000, ha vissuto un periodo di transizione, periodo nel quale potevano giocare quasi esclusivamente giocatori cinesi garantendo così un mediocre livello di gioco. Basti pensare che in quegli anni a monopolizzare il campionato erano stati i Bayi Rockets, la squadra dell’ Esercito Popolare Cinese che ha sede nell’ antichissima città di Ningbo, l’ unica formazione che tuttora non ha nessuno straniero nel roster. Nel 2001 gli Shanghai Sharks del gigante Yao Ming, che da due anni venivano sconfitti in finale dai rivali del Bayi,  riuscirono nell’ impresa di togliere lo scettro, dopo sei titoli consecuti, alla squadra dello Zhejiang. Dalla stagione successiva, quella dello sbarco in Nba di Yao Ming scelto con il numero 1 al draft dagli Houston Rockets (primo straniero nella storia), in poi il campionato subisce un netto miglioramento qualitativo con l’ arrivo, facendo il percorso inverso, dei primi americani nel campionato nazionale. A dir la verità il primo giocatore  Nba sbarcato in Asia è stato Chris Andersen che ha fatto però il percorso inverso, è arrivato in Cina da sconosciuto e poi, da quasi dieci anni, è uno dei protagonisti del campionato più bello del mondo. Birdman, così è soprannominato per le sue incredibili doti atletiche, ha giocato nel 1999 con i Jiansung Nanjing Dragons facendo così da pioniere verso una terra fino ad allora “inesplorata” cestisticamente.
I primi ex professionisti a lasciare il segno anche nella Lega Cinese sono stati Laron Profit (una lunga carriera tra Washington e Orlando) che portò, insieme a Yi Jianlian ora ai Washington Wizard, al primo titolo della loro storia nel 2003 i Guangdong Tigers; Lamon Murray ex settima scelta al draft del ’94 dai Clippers e campione nel 2007/08 sempre con Guangdong e Smush Parker, campione cinese per due anni consecutivi nel 2009 e 2010 con la franchigia di Dongguan, e in precedenza compagno di squadra di Kobe Bryant per parecchi anni con i Los Angeles Lakers.
Negli anni a venire quasi tutte le formazioni impegnate nel campionato si sono fregiate di avere nel loro roster campioni affermati: Fred Jones, ex re delle schiacciate all’ All Star Game 2004, 430 incontri ad una media di 7.5 punti a gara con Indiana, Toronto, Portland, New York e Clippers, ha vestito per qualche mese la casacca dei pluri campioni di Guangdong. Steve Francis, più di 500 match disputati in Nba ad una media di 18 punti a gara con Houston, Orlando e New York e contratti da 18 milioni di dollari a stagione, è stato ingaggiato dai Beijing Ducks. Gli Zhejiang Cyclones possono vantare nel loro quintetto due campioni come Mike James (528 gare a 10,5 punti di media tra Miami, Toronto w Washington) e Josh Boone (256 match tutti disputati con i New Jersey Nets). Stromile Swift, scelto con il numero due dai Vancouver Grizzlies nel draft del 2000, ha disputato ben dieci stagioni consecutive in America (Memphis, Houston, New Jersey, e Phoenix le sue squadre) prima di provare l’ esperienza cinese  con la maglia degli Shandong Bulls. 
Marbury con la canotta di New York
Altri ex grandi campioni che giocano attualmente in Cba sono Stephon Marbury, una classe immensa ma un carattere difficile da gestire, 846 gare giocate in Nba con Phoenix, New York e Boston ad una media complessiva di 22 punti e 9.5 assist a gara. Starbury, questo il suo soprannome, dopo una carriera con numeri e giocate da Hall of Famer per il secondo anno consecutivo gioca nella lega asiatica ( la passata stagione è stato votato come miglior guardia dell’ anno con gli Shanxi)  questa volta con i Foshan Dralions. James Singleton, 231 gare in Nba con Clippers, Dallas e Washington e Quincy Douby, tre anni a Sacramento e due con i Raptors, invece stanno trascinando gli Xinjiang Tigers alla conquista della regular season (23 vittorie e 1 sola sconfitta fino ad adesso). L’ ultimo, ma non per importanza, campione di colore che quest’ anno dovrebbe deliziare il pubblico (ha firmato il suo contratto solo a gennaio con gli Zhejiang Lions)  cinese è il mito dei play ground newyorkesi  Rafer Alston. Il funambolico play nato nel Queens, soprannominato da  tutti Skip 2 My Lou, è stato il primo grande streetballer ad approdare con successo nella Nba. I suoi dribbling ubriacanti ne hanno fatto un vero beniamino nelle squadre in cui a militato: Milwaukee, Toronto, Miami, Orlando, New Jersey e soprattutto Houston dove con Yao Ming e Tracy McGrady componeva un trio spettacolare.  
In poco meno di vent’ anni di vita la Chinese Basketball Association ha compiuto grandi evoluzioni: ha attirato sponsor munifici e riconosciuti a livello planetario, richiama nei palazzetti sempre più pubblico (nell’ ultima stagione i fans sono aumentati dell’ 80% rispetto alla stagione precedente), è diventata una sorte di pensione dorata per grandi ex protagonisti dei prestigiosi parquet dell’ Nba e se questa crescita progressiva del campionato e degli interessi intorno ad esso continuerà in questa maniera ancora pochi anni e la Cba diventerà la seconda lega mondiale di basket per importanza.   

venerdì 18 febbraio 2011

Ritratti storici: Ian Rush...un bomber dalle polveri bagnate...


Ian James Rush nasce il 20 ottobre del 1961 a Saint Asaph, paesino di 4000 anime sul fiume Elwy nella contea del Denbigshire in Galles. Proviene da una famiglia numerosa, il padre Francis (operaio alle acciaierie ‘Shotton’) e la madre Doris infatti ‘regalano’ ben nove tra fratelli (5) e sorelle (4) al giovane Ian, dove capeggiavano il culto della tradizione e del rispetto per il prossimo. Dalla sua autobiografia si evince che a cinque anni fu colpito da una forma di meningite che lo costrinse per qualche giorno al coma. Dopo la completa guarigione Ian trascorse un infanzia movimentata, trascorrendo perfino una nottata in prigione:”Con una gang una sera abbiamo rubato in un emporio alcuni distintivi da infilare nell’ occhiello del cappotto. Una bravata. Ci presero. Finii in tribunale, provai un senso di disgusto, ero minorenne e fui rilasciato. Mi dettero due anni con la condizionale. È stata per me una lezione molto salutare”  Da Flint, il paese in cui ha vissuto fin da ragazzo,sempre nel Galles del nord, si trasferì a Chester, cittadina dell’ Inghilterra  confinante proprio con la sua natia terra, dove mosse i primi passi con il pallone tra i piedi.  Con la squadra bianco-blu che gioca le sue partite interne al Deva Stadium rimane fino al 1980, anno nel quale viene acquistato, seppur giovanissimo, per circa 300 mila sterline dal blasonato Liverpool. Con i mitici “Reds” conquisterà qualcosa come 19 trofei in 15 anni. Con la squadre inglese ha vinto infatti ben due coppe dei campioni: la prima nel 1981 contro il Real Madrid di Del Bosque e Camacho al Parco dei Princi di Parigi e la seconda ai rigori contro la Roma. Di quella formazione facevano parte grandi campioni come l’ irlandese Ronnie Whelan (15 stagioni consecutive ad Anfield), lo scozzese Kennie Dalglish (dal 1977 al 1990 con i Reds prima da giocatore e poi come allenatore) e il pittoresco portiere dello Zimbabwe Bruce Grobbelaar (diventato famoso per il balletto lungo la linea di porta che portò agli errori di Bruno Conti e di Ciccio Graziani ed al conseguente trionfo del Liverpool), 5 Premier League, 3 Coppe d’ Inghilterra, 5 coppe di Lega e 4 Supercoppe.  Dopo 7 anni di trionfi, 205 reti in 330 presenze fra campionato e coppe:  la prima contro i finlandesi del Pollosura e  l’ ultima contro il Chelsea e una scarpa d’ oro nell’ ’84, Rush saluta Liverpool e si trasferisce, nella stagione ’87-’88, alla Juventus per l’ esorbitante cifra di 7 miliardi di lire. A Ian l’ Italia piace e alla sua presentazione promette grandi cose: “La Juventus rappresenta un grosso obbiettivo, poiché come il Liverpool vuol dire serietà e stile, successo e tradizione; e siccome so che i tifosi bianconeri ci tengono a vincere una seconda Coppa dei Campioni , farò il possibile per ragalargliene una. Mi auguro che la Juventus, nel 1990, mi rinnovi il contratto per altri due-tre anni. Mi spiace molto che Platini abbia lasciato il calcio, chissà quanti assist avrebbe preparato per me!!!”. “Ho conosciuto l’ avvocato Gianni Agnelli e Giampiero Boniperti, sono dirigenti davvero eccezionali. Il presidente ha sempre voglia di vincere. Non potevo avere stimolo migliore. Come ricompensarli??? Con la musica, sempre gradevole, dei goals” .
Goals che per la verità saranno pochini. L’ attaccante che oltremanica tutti conoscevano per il suo impetuoso fiuto del gol, per la straordinaria scelta di tempo, per il dirompente gioco di testa e per lo scatto bruciante arrivato nel Bel Paese smarrì tutta la sua verve realizzativa. Complice una Vecchia Signora totalmente restaurata rispetto al deludente campionato precedente e quindi con seri problemi di amalgama, ed  aggiunto anche il suo  problematico ambientamento (si dice che fosse un assiduo frequentatore dei pub della città del gianduiotto) si fa presto a capire il perché di un annata alquanto deludente.
Il ”bomber con i baffi” in 40 presenze con la maglia bianconera (3577 i minuti giocati) realizzò la miseria di 13 reti (una ogni 277 minuti!!!). Il suo esordio ufficiale avvenne in Coppa Italia contro il Lecce il 23 agosto dell’ 88 mentre la prima marcatura fu realizzata nel sedicesimi di finale della Coppa Uefa contro i maltesi de La Valletta.  In campionato segnò le sue prime reti il 27 settembre contro il Pescara (la sua vittima designata con 7 gol tra campionato e Coppa Italia) andando poi a segno solamente in altre 5 occasioni. L’ unica rete decisiva, ma di una importanza capitale, la realizzò nel derby del 1 maggio consentendo così alla sua squadra di battere gli ‘odiati cugini’ e di permettere così ai bianconeri di giocarsi il sesto posto, l’ ultimo valevole per l’ ammissione alla coppa Uefa, nello spareggio fratricida del 23 giugno. Quella partita fu proprio l’ ultima  giocata da Rush con i colori della Juventus, infatti,  dopo aver realizzato il rigore decisivo che permise ai suoi di battere il Torino di Gigi Radice, non tornò mai più in Italia lasciando nei cuori dei tifosi italiani non certo un ricordo esaltante della sua breve ma intensa  esperienza nel nostro campionato.
(Rush con la sua migliore amica: una bottiglia di birra)
 La saudade della nebbiosa e grigia Liverpool era troppo forte e i Reds si ripresero a braccia aperte il loro bomber. Rimase nel Merseyride per altre otto stagioni diventando il terzo goleador nella storia della squadra  dopo Roger Hunt (negli anni ’60) e Gordon Hodgson (anni ’30) e lasciando un ricordo indelebile della sua lunghissima permanenza nella città dei Beatles.
Le ultime tappe della sua carriera: Leeds, Newcastle, Sheffild United, Wrexam e Sydney Olympic  non rimarranno negli annali del calcio e così nel 2000, all’ età di 39 anni, Ian decise di appendere le scarpette al chiodo. Chiuso con il calcio giocato, ha accumulato anche 73 presenze condite da 28 reti con la nazionale gallese,  è tornato, nella stagione 2002-03, proprio al Liverpool come preparatore degli attaccanti accanto a mister Houllier. Nel 2004-05 ha intrapreso la carriera di manager  nella prima squadra che lo aveva cresciuto calcisticamente. Con il Chester City, nell’ equivalente della nostra Lega Pro Seconda Divisione, l’ avventura è durata una sola stagione ed ora Rush divide il suo tempo tra il ruolo di commentatore tecnico per Sky Sport e quello di ‘elite performance director’ della Wels Football Trust, la lega gallese di sviluppo dei giovani atleti.
“Dio salva, ma Rush ribadisce in rete” è una scritta a lettere cubitali che si staglia su un muro di Liverpool. In realtà in Italia di portieri e difensori ne salvò molti…