Southwest
Dallas
Mavericks l’ epurazione voluta dal padre-padrone Mark Cuban ha smembrato
la squadra che solo due anni or sono ha vinto il titolo. Di una delle squadre
sorpresa degli ultimi decenni sono rimasti solo l’ asso Dirk Nowitzki e il
sempreverde Shawn Marion (comunque le colonne portanti dei Mavs) mentre hanno
abbandonato via via l’ American Airline Center gente come Chandler, Terry, Kidd
e JJ Barea che con il loro apporto erano stati fondamentali per la conquista
dell’ anello. Dopo la fallimentare stagione passata, dove assi del calibro di
Lamar Odom (tornato a LA sponda Clippers) e di Vince Carter, confermato
nonostante tutto, non avevano dato l’ apporto sperato (i Mavs infatti sono
stati sconfitti 4-0 al primo turno dei play-off da Oklahoma)la rosa è stata
notevolmente ringiovanita. L’ ex Memphis OJ Mayo e l’ ex Pacers Darren
Collison, oltre ai tre rookies Cunnigham, Crowder e James (curiosa la sua
storia visto che è entrato in Nba a 27 anni dopo un passato da sergente dell’
aeronautica e con parecchie missioni in Iraq e Kuwait) dovranno garantire
quella freschezza, che amalgamata con l’ esperienza dei vari Brend, Kaman e
Curry, porta a Dallas quel giusto mix di incoscienza e malizia che gli dovrebbe
consentire un tranquillo approdo allo post season.
Houston
Rockets dopo anni di vana gloria,
stagioni terminate sopra il 50% di vittorie ma play-off che parevano un
miraggio, la dirigenza texana ha smembrato completamente la rosa (solo 3 i
sopravvissuti dell’ ultimo anno). Dopo il colpo Jeremy Lin, arrivato a suon di
milioni dopo essere diventato free agent, sui titoli di coda è sbarcato al
Toyota Center nientemeno che “Il Barba”, quel James Harden miglior sesto uomo
dell’ anno con gli Oklahoma Thunders. The Beard, giocatore in grado di spostare
gli equilibri, insieme al fenomeno taiwanese, che con la nascita della
Linsanity ha sconvolto il mondo della palla a spicchi a stelle e strisce, e al
turco Omar Asik (strappato alle resistenze di Chicago) rappresenta la spina
dorsale di una banda di ragazzini terribili dove il più esperto è l’ ex
Fortitudo Bologna Carlos Delfino. Ben 11 giocatori infatti hanno al massimo 2
anni di esperienza nella lega e desta curiosità il terzetto di rookies composto
dall’ ex trevigiano Motiejunas, da Royce White e Terrence Jones (tutti scelti
al primo giro). Probabilmente raggiungere i play-off, vista la concorrenza che
c’è a Ovest, sarà difficile ma il futuro
per i Rockets (24,1 l’età media) è sicuramente roseo.
Memphis
Grizzlies solitamente si dice che non c’è il due senza il tre ed è per
questo che al FedEx Forum tutti si aspettano un'altra stagione ampiamente
positiva. Dopo una semifinale di conference (sconfitti a gara 7 dai Thunders) e
un altro positivo turno di play-off contro i Clippers l’ anno scorso
(eliminazione sempre a gara 7) nel Tennessee ci si aspetta quanto meno di
eguagliare la stagione passata anche perché la squadra è sostanzialmente
rimasta invariata. I pezzi da 90 come Randolph, Gay, Gasol e Conley non si sono
mossi e l’ unico ad aver abbandonato la nave è stato Oj Mayo, direzione Dallas.
Al posto dell’ ex prodotto di Southern California (compagno di squadra del
senese Daniel Hackett) sono arrivati l’ ex Portland e Toronto Jerryd Bayless e
il rookie Tony Wroten dai Washington Huskies, giocatori dal talento innato ma
ancora acerbi ad alti livelli. Se questi due giovani prospetti garantiranno
minuti di qualità allora per Memphis si prospetterà l’ ennesima stagione da
sogno…
New
Orleans Hornets basterebbe un
nome ed un cognome per racchiudere questa franchigia, anche perché in verità
c’è poco altro da salvare. Anthony Davis, prima scelta al draft di quest’anno,
è giocatore vero e futuro top player. Già nell’ ultima amichevole preseason ha
dimostrato il suo valore (24 punti, 11 rimbalzi e 3 stoppate contro gli Heat) e
se alternerà un rendimento costante sia difensivamente che in attacco allora
alla New Orleans Arena ci sarà da divertirsi. Oltre al mitico ”monociglia”
attenzione a Austin Rivers, scelto al numero 10 da Duke, figlio del coach di
Boston e a Darius Miller, compagno di Davis
nei mitici Kentucky Wildcats, che dovrebbero rivelarsi due giovani
alquanto interessanti. Il ritorno dall’ infortuno dell’ ex Clippers Eric Gordon
e l’ arrivo da Orlando di Ryan Anderson forniscono la giusta esperienza per un
gruppo pieno di talento ma ancora troppo acerbo per puntare in alto.
San Antonio Spurs grande
squadra, grande tecnico, grandi individualità ma ripetere la stupenda stagione
passata (almeno fino al filotto di 10 vittorie di fila nei playo-off) parrebbe
alquanto arduo. L’ età, 101 anni, e gli acciacchi dei big three (Duncan, Parker
e Ginobili) aumentano sempre di più e faticano quindi a sopportare il peso
della squadra su vecchie e logore spalle, anche se signore spalle. Green,
Leonard e Blair rappresentano la linfa vitale di questa squadra di vecchietti
terribili, ai tre già citati aggiungiamo il veterano Stephen Jackson, il
francese Boris Diaw e Matt Bonner, che sicuramente darà del filo da torcere a
tutti ma troppo fragile (fisicamente si intende) per arrivare all’ atto finale.
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